Giovanna fra i Pazzi
l'eroina contemporanea
di e con Edda Gaber
cura Matteo Lolli
luci Gianni Melis
14, 15, 16 maggio 2013 ore 21
"Necessario", spesso, meglio, da sempre,
sento parlare da chi lo fa che il teatro, l'arte sincretica per eccellenza,
dev'essere necessario, e a lungo me lo sono ripetuto quasi a convincermi di
cosa acquisita ma evidentemente non posseduta se ripetermelo era necessario.
Ora, dopo trent'anni di apparente reiterazione a me stessa, so un segreto
inesprimibile, quindi, anche se volessi svelarlo non mi sarebbe dato. Ora, a
questo punto, e da qui in poi, mi sarà altresì possibile rivelare il segreto,
ancora e ancora, fino all'ultimo respiro; con la scrittura, sia quella che
sceglie la pagina, sia l'altra, assai più alchemica, che sceglie la scena.
Giovanna Fra i Pazzi è pura scrittura scenica e dico pura in quanto in me
ha agito una mano altra da me, e da qui, per chi sa intenderle, già fioccano le
metafore. C'è stato un contesto, poi un testo e ora in forma di sottotesto, una
mise in abime, Giovanna d'Arco, appunto. Far emergere il sottotesto comporta un
atto d'obbedienza, questo sì necessario, a contesto e testo, e allora, solo
allora, con la forza dell'esperienza umana, cosa di carne e sangue, affiora con
l'essenzialità dell'Urlo, l'amato sottotesto, caro, sempre caro alla Necessità.
Tùke, dicevano i Greci, unità di etica ed estetica hanno sempre proclamato le avanguardie,
ossia, a ben vedere, l'Arte vera e propria, Sol dell'Avvenire. Di là da futura
mi garba dire l'Arte tout court, perché con Grazia, semplicemente, incarna un
ossimoro, vale a dire una contraddizione ma solo in termini, a parole: Fisica e
Metafisica sono la misma cosa.
Giovanna Fra i Pazzi deve tutto a Régine Pernoud: "Vuoto a rendere,
Régine!"
Noterelle per GIOVANNA FRA I PAZZI
ovvero “come un
talismano”
Prendermi
cura di due creature in una è questo nostro lavorio: una, Giovanna, trasparenza
di cielo che sopravvive a secoli di turpitudini; l’altra creatura, anch’essa
“strumento” sonante d’amore, di voci nel deserto, che pone orecchio, cuore,
voce, alla prima, clamante. Cosa sia questa “dolce consuetudine”, mai
abitudine, del nostro lavorio non saprei dire. Somiglia, credo, alla
preparazione di quell’unguento a base di timo, ruta e maggiorana mescolato a
olio e cera vergine che Francesca, “la santa de Roma”, insegnò a preparare alle
sue amiche per sanare malati e feriti.
Matteo Lolli