11.2.12

LA PARTE DI BOLAÑO: IL QUINTO CAVALIERE


Compagnia del Meta-Teatro

LA PARTE DI BOLAÑO: IL QUINTO CAVALIERE
(tratto dall’Opera/Vita di Roberto Bolaño)

Testi, scrittura scenica e regia Pippo Di Marca

Pippo Di Marca    De Oviedo Sahagùn
Gianluca Bottoni    San Nazario, Durrell, Homero
Luigi Filippo Lodoli    Buenaventura
Adriano Mainolfi    Castillo
Vincenzo Schirru    Cruzado, Baleno
Elisa Turco Liveri   Dolores
Anna Paola Vellaccio   Encarnacion

Scene e costumi Luisa Taravella
Selezione musiche Pippo Di Marca
Aiuto regia Simona Volpi
Disegno luci Giovanna Bellini
Foto di scena Salvatore Insana
Organizzazione Anna Paola Bonanni

Nota sullo spettacolo
Roberto Bolaño, cileno, uno dei massimi scrittori latinoamericani del secondo Novecento, è morto nel 2003, all’età di 50 anni, in attesa di un trapianto di fegato. Il suo libro più importante “2666” – ‘smisurato’, quasi 1200 pagine, pubblicato postumo – è diviso in più ‘parti’: ‘la parte dei critici’, ‘la parte di Amalfitano’, ‘la parte di Fate’, ‘la parte dei delitti’ e ‘la parte di Arcimboldi’... In realtà tutta l’opera e la vita di questo straordinario scrittore e poeta è atomizzata in una miriade infinita e indefinita di ‘parti’; e tuttavia è concentratissima, perfettamente fusa e identificabile in ciascuna di esse: forte di un disegno, nella diversità estrema delle varianti, talmente ‘coerente’ da costituire un corpus di rara potenza stilistica, dove per stile si intenda una ‘superiore visione’ dell’idea del mondo e insieme della letteratura-poesia che pretende di descriverlo. Onde è lecito chiedersi innanzitutto chi è Bolaño, qual è la sua ‘parte’ in questa architettura, che definire visionaria è altamente riduttivo, in cui si intravede l’artefice che ‘crea’, si esprime e si rappresenta a immagine e somiglianza di un io diviso nei mille fiumi della sua opera, e pur sempre ‘miracolosamente’ unico e unitario. La risposta a questa domanda non è facile, per il semplice fatto che non è una domanda bensì un enigma (l’enigma della poesia, se si vuole, o dell’arte della scrittura, o del teatro, o...) e come tale va preso: va indagato, va esplorato alla ricerca di una risposta che potrebbe non esserci, risultare vana. Alla fin fine conta più l’esperienza, la tensione della ricerca che i suoi esiti: e questo, come che sia, è il tema principale, l’asse portante di un altro capolavoro di Bolaño, “I Detective Selvaggi”, il romanzo (anch’esso ‘sterminato’ con le sue 850 pagine) che nel 1998 lo consacrò a livello internazionale come il caso letterario che rinverdiva e rinnovava la grande tradizione latinoamericana, accostato senza infingimenti a scrittori del calibro di Cortàzar, Borges, Marquez, Fuentes. Ma il punto vero, e certo, è che Bolaño fu un autodidatta giramondo (principalmente in Messico prima, e poi in Spagna) e si formò ‘rubando parti’ altrui: sia che fossero personaggi incontrati nella sua vita raminga o sia, soprattutto, che fossero libri – vale a dire variazioni delle infinite trascrizioni della ‘vita’ – in gran quantità per l’appunto, ‘rubati’. Cannibale affamato di vita e di libri – soprattutto di quelli che meglio rappresentano la pena e il mistero profondi che egli sente per la condizione umana, e di cui, con istinto selvaggio, primordiale ed ‘erudito’ al tempo stesso, aspira a farsi cantore, paladino – Bolaño cerca, trova e sceglie i suoi fratelli maggiori in 4 paladini della poesia moderna, della crisi della poesia moderna, ossia tout court, del mondo moderno. Sono Rimbaud, Lautréamont, Baudelaire e Mallarmé: quelli in cui ama identificarsi e che lui stesso ‘ironicamente’ definisce “i quattro cavalieri dell’apocalisse”. Lui, dunque, “il quinto cavaliere”.
E da qui, più o meno, inizia la sua (e va da sé la nostra) ‘esplorazione’. Che ovviamente non si ferma qui e prosegue inarrestabile portandosi appresso altri quartetti di ‘cavalieri’ (Kafka, Joyce, Borges, Cortàzar, per esempio), ma forse soprattutto, in ordine più o meno sparso, con ruoli e compiti mai definiti, una truppa scombinata e terribile raccattata un po’ dovunque e composta da straordinari e misconosciuti ‘poeti di vita’, e da ‘personaggi’ insostenibili e paradossali di critici, pensatori, spie, assassini, ‘gauchos’, puttane, vergini, transessuali ecc. Tutti trascinati sull’orlo di  inauditi “abissi d’orrore”. E si ha la sensazione che, notte dopo notte (perché è di notte che Bolaño scrive), in compagnia di tutti costoro -  mangiati e rubati nel corso della vita normale, ‘durante il giorno’ – Bolaño esplori, con il sarcasmo e la lucidità dei veri grandi, tutti i gradi e le latitudini dello sperdimento e dell’orrore umano... In questo, oltretutto, ci ricorda tanto Lautréamont, un altro che scriveva di notte, che diceva: “...La mia mente, tesa oltremisura urla. L’ho voluto io. Nessuno sia accusato... Ogni notte vedo la porta del mio intelletto aprirsi alla curiosità selvaggia di un estraneo. Un vecchio ragno della grande specie mi stringe la gola con le sue zampe e mi succhia il sangue con il suo ventre...”
Ho già messo in scena Bolaño (nel febbraio 2009, all’Atelier Meta-Teatro, per primo in Italia) con lo spettacolo “2666: la linea spezzata della tempesta”. Un primo assaggio-passaggio cui segue questa seconda prova. Un ritorno, a stretto giro, per così dire ‘sul luogo del delitto’. Ma la sua scrittura (anche se non scritta espressamente e dichiaratamente per il teatro) è talmente ‘teatrale’, ricca di forme dialogate, che si potrebbero fare decine di spettacoli a partire dalla sua ‘opera’...



14 - 17 febbraio 2012
martedì 14 e mercoledì 15 ore 21
giovedì 16 e venerdì 17 ore 19
TEATRO INDIA
Lungotevere V. Gassman 1, Roma
(già Lungotevere dei Papareschi)
tel. 06 684000314


21 febbraio - 4 marzo 2012
ore 21 – domenica ore 18 (lunedì riposo)
ATELIER META-TEATRO
Via Natale del Grande 21, Roma



Info e prenotazioni
tel. 340 8578140 – 329 2068320